Lucio Romano, nato a Galatina nel 1936 e scomparso nel 2007, si è occupato di studi storici, conducendo tra l’altro ricerche sul movimento operaio e sulle origini del fascismo in Terra d’Otranto. Con le sue opere letterarie ha ricevuto numerosi riconoscimenti in ambito locale e nazionale. Molti critici letterari hanno scritto di lui. Lui stesso ha scritto note critiche su Salvatore Quasimodo, Rocco Scotellaro, Alfonso Gatto. Accanto a questo bisogna ricordare il suo imprescindibile impegno civile è stato consigliere comunale per quindici anni e consigliere provinciale. Ha dettato l’epigrafe per Carlo Mauro, principale esponente del socialismo salentino, collocata tutt’ora in Piazza della Libertà a Galatina.
Ricordiamo alcuni titoli delle sue raccolte di poesie “ Sul calar della sera” (1958-1964); “ Vagare stanco” (1965-1968); ” Romano” (1969-1974); “Alografie” (1983-1987); “Morire di verso” (1988-1990); “ Lettere di Gioacchino Toma a Eduardo Dalbono”(1992-1997); “Una vita in versi” (2001).
L’amministrazione di Galatina gli ha assegnato alla memoria il Premio Beniamino De Maria per il biennio 2009-2010, ci piace riportarne per intero la motivazione : Un uomo che ha saputo coniugare poesia ed impegno civile. Un uomo che ha lasciato un chiaro messaggio secondo il quale potere e poesia significano altruismo, solidarietà umana, generosità, tentativo di edificazione di un altro mondo possibile nel quale tutti siano impegnati facendo tesoro anche della parola del poeta che lotta per il suo popolo, la sua gente, per gli umili e i diseredati.
(Emilia Frassanito)
Salento
È questo il Salento
bruciato dal sole
ove il cielo del sud
avaro di piogge
ha sotto gli occhi
schiene ricurve, some
dal cuore in pena:
ove sirene di cantieri sono
antichi rumori di zappe.
da “Sul calar della sera (1958-1964)
IV
All’alba c’è l’incompiuto
e spettri mi si parano davanti,
in fila indiana,
ogni istante diversi,
cani dalle terribili fauci.
Poi il grido delle pietre
tocca il giorno, rivive
sulla strada dove avanza
un frastuono di carri,
me nei fili della mente
resistono le aurore dell’infanzia:
dava mani alle funi il campanaro
di Santa Caterina c’era notte,
poi traini lenti con ruote ansimanti
rompevano il silenzio del selciato
-e sopra i giardinieri come santi
a predicare il verde delle rape.
VIII
Se il nero resta nero
I miei quadri si logorano,
salta la prospettiva
e la casa mi si svuota
di vivi e di penombre.
Prese da solitudine le sedie
Si lamentano negli angoli,
la mano pure, la mano
si sfinisce sulle tele:
girando e rigirando
in cerca d’ombre
diventa una baccante che rovina.
Da Una vita in versi 2001
(Emilia Frassanito)