LE PALINODIE DI RAIMONDO VINELLA
Scrittore prolifico e convinto sostenitore del Positivismo medico
Fu condannato al carcere dalle autorità borboniche con l’accusa di “materialismo”. Un suo scritto fu dato al rogo. Per riacquistare la libertà, preferì rinnegare le sue innate idee rivoluzionarie.
di Giancarlo Vallone
da redazione “Il Filo di Aracne”
Raimondo Vinella (1779-1858) è di Putignano, ma galatinese di adozione (dal 1819, per amicizia dei Cadura e vicinissimo poi ai Gorgoni). Lo sappiamo grazie soprattutto a due saggi: uno di Nicola Vacca (del 1966) che ricostruì le avventure di una sua scrittura (il Quadro politico in cui trattasi la causa dell’umanità) sfortunata al punto da costargli, per ‘materialismo’, un anno di carcere a Lecce, dal 1822 al 1823, dove ha compagni, tra altri, un interessante personaggio come Gaspare Vergine da Corigliano (che sarà ‘Edennista’ ed altro), e il galatinese Baldassarre Papadia, detenuto per ‘causa di stato’. Nel 1995 Aldo Vallone restituì la prosa del Vinella, affidata soprattutto al volume Le amarezze e lagrime del prigioniero, del 1846, alle sue genuine matrici letterarie, non senza appendici documentarie importanti per radicare il Vinella nella sua famiglia e nei suoi interessi. A me spetta notare che il Vinella, scrittore prolifico, ed amico del Principe d’Aragona (Giuseppe M. Ajerbo d’Aragona, principe di p. 23, 186, 247), grande esponente della Carboneria, ma anche della massoneria salentina, riserva diverse sorprese appunto come scrittore. In realtà i suoi molti scritti, elencati da lui stesso, sono assai rari, e spesso editi in poco diffuse riviste mediche; hanno in genere orientamento casistico, e descrivono casi clinici, e ‘storie’ individuali di malattia: fonti perciò di notizie a volte interessanti (in specie per Galatina) che il Vinella intrica con citazioni di persone presenti alle sue diagnosi e con parentesi di varia natura. Così nelle Considerazioni pratiche sulla febbre biliosa etc. del 1836, che raccoglie tre casi clinici, vediamo attivi in Galatina, i medici più famosi del primo Ottocento salentino: Pasquale Manni, da San Cesario, continuamente contrapposto al Vinella in consulti, Rosato Demitry (padre di Aureliano), quel Salvatore Romano, che, originario di Tuglie, e legato al Presta, risiedeva in Galatina, scrittore anche di cose agricole, e infine, con pareri scritti da Napoli, quel Costantino Dimitri, del quale si legge un curioso cenno nelle Ricordanze del Settembrini. Interessa di più notare che il Vinella è scrittore disposto a ricredersi (forse anche al punto di confondersi); conosco opere sue date in seconda edizione, che sono in realtà vere e proprie riscritture. Un’opera poi, è un vero dilemma che ho potuto risolvere solo avendo sott’occhio quelle che sembrano tre sue edizioni: il Saggio di direzione e di cura fisico-morale dell’uomo edito in prima edizione nel 1831 dal Tramater a Napoli; e di nuovo nel 1833; ed ancora nel 1839 (dalla Tipografia del Filiatre-Sebezio) In realtà l’edizione, rarissima, del 1831 (che il revisore indica come Saggio… della cura de’ bambini) è, certamente destinato alla ‘cura fisica’ dell’ uomo o bambino che sia; quella del 1833 alla ‘cura morale’. La seconda edizione di entrambe le parti (la prima di queste con notevoli riduzioni) è, appunto, quella del 1839. Un’altra opera del 1815, il Nuovo metodo sulla febbre petecchiale sporadica contagiosa di Taranto, portava, a dire del Vinella stesso, una dedica al famigerato Principe di Canosa, che nell’unica copia che ho potuto riscontrare (la mia) è stata forse tagliata via, e potrebbe non essere un caso. Queste minuzie di bibliofilo, sempre costose, assumono un qualche maggiore interesse proprio per Le amarezze e lagrime del prigioniero di cui, in verità, esistono due edizioni o per meglio dire due tirature della stessa edizione (in Napoli, dalla Tipografia del Filiatre-Sebezio con data doppia: 1846 sul frontespizio interno e 1847 sulla copertina). Il Vacca usava certamente una copia della seconda tiratura; Aldo Vallone ha usato invece una copia della prima, ch’è forse più rara, perché Vinella, quasi sicuramente, usò le copie non diffuse di essa, per sostituire diverse pagine ed aggiungere inserti e quindi, ritengo, per promuoverla. Le due tirature si distinguono facilmente, se poste a confronto, perché la più recente, che è certamente del 1848, pur avendo lo stesso numero di pagine (320) è preceduta da un inserto che reincorpora, con numerazione romana, la preesistente introduzione del conservatore Giacomo Gorgoni (datata da Galatina al primo Dicembre 1846) con una recensione (già edita il 30 Agosto 1847) del palermitano Giuseppe Bandiera. In fine, dopo le 320 pagine, c’è un indice minuto di sette pagine che nella precedente tiratura manca. Fin qui, nulla di veramente sorprendente. La vera scoperta sta nel fatto che Vinella, nella seconda tiratura, interviene più volte per modificare il testo precedente, in pratica scomponendo i sedicesimi, ritagliando alcune pagine e sostituendole con altre stampate ex novo senza turbare mai l’ordine numerico. Il prodotto di questo artificio, che io ho riscontrato per diverse pagine (11-12, 21-22, 29-30, 67-68, 177-178, 205-206, 213-214, 277- 278, 287-288) che ricerche più pazienti potranno incrementare, e la vera ragione poi della seconda tiratura, è quello di mettere in circolazione un testo radicalmente differente da quello precedente. E per un buon motivo, che il lettore scoprirà facilmente leggendo il brano più antico e subito dopo quello modificato. I) Tutte queste calamità erano avvenute per la chimera della sovranità popolare figlia dell’orgoglio umano che gettato avea le armi in mano de’ rivoluzionarî, per cui tanti mali gravitarono su’ popoli che si fecero trascinare dalla seducente speranza di migliorare la loro sorte; che invadendo le proprietà altrui coll’assurda teorica dell’ eguaglianza de’ beni risvegliarono l’idea del mio e del tuo; che l’uomo nasce libero indipendente ed eguale; che i re della terra sono tiranni; contro de’ quali ciascuno ha il dritto di armarsi deporli e cangiar la forma de’ governi. [Tutte queste calamità erano avvenute per non aversi voluto secondare nel genuino sentimento il potere popolare figlio del diritto delle genti, che conduce alla felicità del Genere umano. La filosofia morale ha provato ad evidenza nel tempio della verità sì bei principî combattendo l’opposto pensare dei nemici dell’ordine sociale (p. 11)]. II) Verso il tramonto del vortice rivoluzionario (che ci pervenne dalle mani degl’intriganti che portarono la fatal dissoluzione dell’armonia sociale…). [Verso il tramonto del vortice delle opinioni politiche abbracciate da uomini distinti che svolsero la fatal dissoluzione dell’armonia sociale… (p. 22)] III) Grave errore io ho commesso nell’aver pubblicato per le stampe il mio Quadro politico! Me ne pento, ma troppo tardi però. L’infame seduzione, figlia delle fallaci istituzioni de’ delirî de’ tempi e delle società alterarono le mie idee ed è stata la cagione de’ miei mali. Rivolsi di poi… [Grave errore ho commesso coll’aver sparso nel mio Quadro politico in cui trattasi la causa dell’umanità liberali principî politico morali non ben chiariti per la mente del volgo ignaro incapace di elevarsi alla di loro conoscenza. Rivolsi di poi… (p. 29)]. IV) Sì, hai ragioni dolerti di aver io voluto esser la vittima del delirio dei tempi vertiginosi. Non so trovar ragioni per scusarmi.… [Sì, hai ragioni dolerti di aver io voluto esser la vittima per l’equivoche espressioni fisiologicomorali pubblicate in un tempo mal sicuro. Non so trovar ragioni per scusarmi… (p. 67)]. V) Oh, quanti nostri concittadini sono pure dissaventurati meco per essersi ingeriti ne’ pubblici affari scioccamente! Ben aveva… [Oh, quanti nostri concittadini sono pure dissaventurati meco per aver cercato per mezzo della stampa promulgare i precetti santi dell’Evangelo di Cristo i quali debbono essere sostenuti dai Re della terra che sono chiamati dal Cielo a governare i popoli, ed a mostrare illibati i sacri dritti delle nazioni. Ben aveva… (p. 177)]. VI) Io avvertito da questa scena erronea della vita, amerei di vivere in distanza dal vortice delle fazioni, se mi trovassi in nuovi avvenimenti; ma le iniquità politiche più non possono succedere per motivi dell’avvanzato incivilimento, fortezza e saggezza de’ governi. È la Religione… [Io avvertito da questa scena erronea della vita, amerei di vivere in distanza dal vortice di quelle fazioni patriottiche che serbano solamente nel cuore finto liberalismo che tende a diramare empie dottrine ruinose alle società. È la Religione… (p. 206)]. VII) Dopo tal racconto, la mia solitudine fecesi assai funesta, e quindi gli tenni io poi la parola dello stupido operare antipolitico-morale di quei rivoluzionari che non avendo conoscenze geografiche profonde del Reame napoletano, e né sapendo la lega santa de’ sovrani di Europa che manterrà sempre illibata la causa de’ re giusti e pii, sono stati la cagione di esser ristretto in questa misera prigione di stato. [Dopo tal racconto, gli tenni io discorso di quei falsi filantropi spergiuri, venditori di parole che abbandonarono il campo di battaglia, ch’è quello della gloria, senza imbrandir le armi contro i nemici della libertà nazionale e che ritirandosi ai loro focolari, obliarono così di abbellirsi di profumarsi a guisa degli Spartani come in un giorno di festa, e quindi si coprirono d’ignominia per non essere considerati prodi eroi al pari dei Pausania, dei Leonida, dei Bozari, dei Gura, dei Canaris, dei Mauro Micali, dei Medicandro senza Pari ecc. Vituperevoli vili traditori senza fede! Siete voi degni della più severa punizione! Ed ecco la cagione per cui sono ristretto in questa misera prigione di stato… (p. 213)]. VIII) Metto inoltre sotto il vostro penetrante sguardo che il Quadro politico… è stato stampato in un’epoca in cui trovavasi egli agitato da violente passioni, mentre il torrente rivoluzionario cogl’inni e co’ proclami lo aveva già spinto a diffondere per le stampe principî che non intendendosi che da’ fisiologimoralisti profondi interpreti della natura umana, che solo colgono il frutto salutare delle leggi dipendenti dalla mano onnipotente dell’eterno Dio… [Metto inoltre sotto il vostro penetrante sguardo che il Quadro politico… è stato stampato in un’epoca in cui le passioni pel bene della patria erano all’eccesso in lui esaltate, e quindi fu spinto a diffondere per le stampe principî filantropici che non intendendosi che dai fisiologi-moralisti profondi interpreti della natura umana, che solo colgono il frutto salutare delle sue leggi che emanano dalla mano onnipossente dell’ eterno Dio… (p.277; a p. 278 son dati per esteso i nomi dei giudici che condannarono Vinella; dati invece in sigla nella precedente tiratura)].